il dramma della famiglia “storta”
(Mariapia Veladiano La vita accanto)
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Mariapia Veladiano è un’esordiente, il che oggi, grazie a una nuova moda che ha contagiato le maggiori case editrici, equivale a essere il nome di punta tra gli scrittori dell’anno. In genere l’esordiente “da spingere” è una ragazza giovane e carina, col che ovviamente non intendo dare pregiudizi di merito sul talento, ma un po’ di fastidio nei confronti degli uffici stampa che chiamano chiedendo di intervistare l’esoerdiente perché “è molto carina” è difficile da nascondere. È un sollievo quindi che Mariapia Veladiano abbia 50 anni: laurea in filosofia e in teologia, insegna lettere in un liceo di Vicenza e lo scorso aprile il suo manoscritto inedito ha vinto il Premio Calvino, diventando poi il romanzo di punta della collana Stile Libero. La vita accanto (€ 16,00) per chi ha leggiucchiato qualcosa sui giornali è un romanzo che parla di una bambina molto brutta. Così lo hanno sintetizzato tutti, e mi lascia sempre attonita la banalità “pelosa” di certe sintesi, fatte ad hoc per attirare l’attenzione. Questo romanzo ha sì per protagonista una bambina molto brutta – anche un po’ troppo, accidenti, non si riesce nemmeno a figurarsela! – ma parla soprattutto di famiglie storte e contorte, di drammi consumati dietro le tende delle finestre e che da quelle finestre filtrano, non capiti, all’esterno, dove la gente di provincia crudele e affamata di perversioni altrui li distorce rendendoli persino più mostruosi di quanto non siano. Secondo me La vita accanto è il dramma del pettegolezzo malevolo, della pagliuzza nell’occhio altrui per ignorare la trave nel proprio, ed è il dramma della famiglia dove volersi bene non significa sapersi aiutare. Un romanzo molto femminile, non nel senso che a un lettore maschio non debba interessare, ma perché lungo le pagine corre uno sguardo capace di cogliere le donne nelle loro infinite sfaccettature mentre si percepisce una vena di incredulità disarmata verso gli uomini, spesso deboli, poco incisivi, molto capaci nei loro ruoli sociali e pochissimo nell’intimità delle relazioni più delicate.
Per chi volesse la trama: Rebecca, figlia di un medico, nasce bruttissima. La madre la rifiuta – e siamo indotti a credere sia a causa del ripugnante aspetto della bambina – e consuma i suoi giorni chiusa in una stanza e in se stessa, mentre nella casa si aggira la zia Erminia, sorella gemella del marito, sensuale e turbinosa, innamoratissima del fratello e della musica: è lei che sembra salvare Rebecca da una vita di reclusione insegnandole a suonare il pianoforte. In realtà Erminia nasconde una sua personale perversione, e solo Maddalena, la governante dal passato tragico, e Lucilla, la grassa e vitalissima compagna di scuola, sanno amare veramente Rebecca. Solo loro la amano, e la vecchia signora De Lellis, ex pianista e madre dell’insegnante di pianoforte di Rebecca, che compare sulla scena simile a un narratore interno al romanzo: è lei, nelle ultime pagine, a spiegare il dolore della madre di Rebecca, ed è lei a fornire un piccolo colpo di scena in virtù del quale il lettore chiude il libro con discreta disperazione sullo stato di “normalità” della famiglia. Ma il romanzo si fa leggere con piacere, e salvo qualche ingenuità nella prosa e una poco credibile insistenza sulla bruttezza della protagonista (tema interessante ma non veramente sviscerato, eccetto qualche elenco di cose che una bambina brutta non si aspetta dalla vita) è costellato di discrete osservazioni sulla natura umana e di un certo ottimismo verso la vita, che «non è un oggetto prezioso da custodire nel corso degli anni. Spesso ci arriva tra le mani già sbrecciata e non sempre ci vengono forniti i pezzi con cui ripararla. Qualche volta bisogna tenersela rotta. Qualche volta invece si può costruire insieme quello che manca. Ma la vita sta davanti, dietro, sopra e dentro di noi. C’è anche se ti scansi e chiudi gli occhi e stringi i pugni» (pag. 127).
Mariapia Veladiano ha altri romanzi nel cassetto, la aspettiamo alla prossima prova.
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Tags: bruttezza, citazione, Einaudi, famiglia, La vita accanto, Mariapia Veladiano
Sto leggendo ora il romanzo della Veladiano: non male anche se le “bruttezza” di Rebecca sembra veramente troppo, troppo accentuata. La trama scorre via leggera come la brezza che rigonfia i tendoni azzurri della casa paterna ma con altrettanta leggerezza lascia poco su cui riflettere se non che ognuno di noi, oltre all’aspetto esteriore, ha delle ricchezze e delle qualità che andrebbero scoperte, coltivate e valorizzate.
Rebecca trova nella musica il suo dono ed ha la fortuna, nonostante la bruttezza, di incontrare delle persone che riescono a far emergere questa bellezza dal suo animo.
Una lingua interessante, che sarebbe piaciuta a Calvino che auspicava parole che facessero scintille per gli accostamenti arditi e azzardati, ma una storia “sgonfia” e, paradossalmente, troppo “vicina” a chi legge.
L’ho letto tempo addietro e mi è piaciuto molto. significativa la diversità tra le donne che circondano Rebecca , che accettano o meno anzi in alcuni casi la usano la “bruttezza” di Rebecca. Impalato mi sembra il padre che non riesce e/o non vuole aiutare sia la figlia che la moglie.
Che bello questo romanzo !!!! Profondo, curato, assorbe totalmente e rimane dentro;la storia della bruttezza è solo un pretesto per soffermarsi su verità spesso dimenticate : la pazienza, l’accettazione e la scoperta di sè, la comprensione degli altri…tanto in pagine coinvolgenti. Brava Mariapia !
Non ho trovato particolarmente illuminante né curato il romanzo della Veladiano. L’ho definito un “testo di mancanze”.
Al di là della bruttezza della protagonista di per sé poco credibile, non ho condiviso la mancanza di considerazione da parte dell’autrice nei confronti di Rebecca. La bambina come si vive in quanto brutta? Cosa succede nella mente e nel cuore di una bambina additata come mostruosa? L’autrice non ne parla. E sembra imperdonabile se si pensa che la storia si regge su questo elemento.
L’olfatto, sin dall’inizio viene annunciato come una qualità importante e ipersviluppata ma l’autrice non riesce a restituirlo chiaramente né rende indispensabile questo senso nella vita infantile della protagonista.
La scoperta del talento musicale è altrettanto abbozzato e non offre al lettore la possibilità di essere apprezzato sin dalla scoperta. È come se l’autrice non avesse gli elementi conoscitivi necessari. La zia Erminia guarda le mani della protagonista per caso, decide che diventerà una pianista eccezionale e dopo qualche lezione parla col fratello (padre della bambina) per convincerlo a iscrivere la nipote al conservatorio perché dotata di un talento portentoso. Ma come ha fatto il lettore a viverlo questo talento? Se non fosse raccontato dall’autrice in una riga e mezza da dove si evincerebbe? Non basta dirlo.
La vita scolastica di Rebecca non viene trattata, soprattutto quella dei primi anni. Si passa infatti dai primissimi anni di vita al conservatorio senza spiegare cosa succede nel frattempo.
L’autrice apre poi tutta una serie di storie collaterali che nulla hanno a che vedere col plot principale.
Carica le frasi con un uso eccessivo di aggettivi che spesso vengono anteposti al sostantivo per dare valore ai concetti.
“… la testa all’indietro i capelli inquieti come una promessa incerta”. La frase non solo non crea alcuna immagine ma i capelli inquieti è un po’ azzardato come accostamento.
Testo mediocre che in mezzo ai pessimi rischia di convincere.
Ho scritto, del romanzo d’esordio di Mariapia Veladiano, una recensione un po’ generosa, cogliendo i tratti migliori del libro, che pure ci sono. Però non posso che ammettere che concordo in buona parte con il commento di Angelo. Soprattutto per la scarsa consistenza del personaggio principale…
Ho appena finito anche io “La vita accanto” della Veladiano e non saprei dire se questo romanzo mi ha conquistata o meno. Sono d’accordo con molti dei commenti che ho letto sopra ossia che la bruttezza di Rebecca, pur senza venire descritta nei dettagli, viene enfatizzata fin troppo! Insomma… questa ragazzina cosa aveva di tanto mostruoso? Era deforme? L’autrice non approfondisce, forse intenzionalmente, per lasciare alla immaginazione del lettore “la creazione” del volto della piccola Rebecca.
Avrei voluto che la Veladiano raccontasse di più del rapporto tra il padre e la madre di Rebecca che viene sì spiegato, abbozzato ma forse, e secondo me, troppo marginalmente.
Tra tutti, i miei personaggi preferiti sono l’incontenibile Lucilla e sua madre con la loro tracotante generosità, e la signora De Lellis…
Attendo di leggere “Il tempo è un Dio breve” per decidere se la Veladiano mi ha conquistata oppure no….
Peggio del primo cara Susy.
Io adesso, a proposito di famiglie contorte, nomino Una casa sull’oceano, un ebook sconosciuto che mi ha completamente preso e sconvolto. Una storia super originale e a proposito di famiglie assurde…in ogni caso la Veladiano non mi ha conquistato perchè eccessiva lì dove non ce n’è bisogno!