Margaret Mazzantini Nessuno si salva da solo: l’epica del privato (piccolo piccolo)
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Il primo libro che ho letto di Margaret Mazzantini si intitolava Il catino di zinco, era il 1994 e non ne ricordo la trama. So solo di averlo archiviato tra i libri perdita di tempo. Una sola frase mi era rimasta in testa come una nota steccata, come l’unghia che graffia la lavagna. “Odore di fica vecchia”, detto nel mezzo di un tè fra signore in età. Non avevo un riferimento, nella mia immaginazione, che potesse accendersi e corrispondere all’allocuzione “odore di fica vecchia”, e il romanzo non aiutava a integrare quella dissonanza: all’epoca Margaret Mazzantini non scriveva ancora spruzzando artatamente sprezzo, acido e turpiloquio, a proprio vanto di scrittrice un po’ verista o un po’ maledetta: quell’espressione bucava il foglio. Il catino di zinco mi era sembrato un romanzo insulso. Eppure mi aveva lasciato un segno: di perplessità, ma indelebile.
Non ho più letto nulla della Mazzantini fino a questo ultimo Nessuno si salva da solo (Mondadori, 2011, € 19,00), che deve avermi presa per curiosità – 17 anni dopo “odore di fica vecchia”, una scrittrice con quattro figli, un marito attore famoso, una conventicola di amici potenti che la porta dappertutto, un piglio capriccioso da diva, un romanzo finito in film, una donna così, cosa scrive oggi? Nessuno si salva da solo si legge in fretta, qualcosa si può saltare, lo schema è semplice: Gaetano detto Gae e Delia hanno trent’anni (a dispetto dei loro nomi, caduti in disuso già prima del tempo in cui presumibilmente sono nati – ma non è facile scegliere i nomi giusti, in un romanzo), sono a cena in un ristorante: tutto il romanzo si svolge in quella parentesi graffa di tempo, il tempo di una cena, che accoglie fra parentesi quadre il tempo presente della loro disfatta di coppia separata con due bambini, mentre di loro – i bambini – come di Delia e Gaetano, del loro amore, della loro parabola matrimoniale, conosciamo ogni dettaglio entro parentesi tonde, infanzie comprese, tradimenti inclusi, l’anoressia di lei, la famiglia piccolo borghese cripto violenta di lui. Una espressione algebrico-narrativa, è questo romanzo. Costruito bene, non c’è che dire, 189 pagine ambientate in due ore e piene di due intere vite. Scritto bene, con voce forte, l’odore di fica vecchia scappato fra le righe 17 anni fa si è mutato in un più compiuto gergo di carattere che vuol mescolare alto e basso, turpiloquio e profondità. L’ insieme è coerente e convincente, anche se lontano dalla sublime sozzura della prosa di Rosa Matteucci, maestra imbattuta a mescolare piscio e poesia nella prosa da romanzo.
Il libro della Mazzantini si legge di un fiato e ci si medita: la disfatta di un amore, quello sfaldarsi di ogni cosa di cui non si ha chiaro sentore se non quando è tardi, e chissà quale è stato il momento in cui Gaetano e Delia si sono davvero lasciati; molte sfumature del rapporto materno e paterno con i figli, gli errori cruciali, delle coppie, le incurie reciproche, la tentazione del tradimento come chimera di nuova vita. C’è più o meno tutto. Eppure il romanzo, secondo me, non vola. Resta a terra come una gallina che raccoglie chicchi ma non può permettersi veri voli: il micromondo di quei due trentenni, che pure somigliano con precisione a innumerevoli coppie di oggi, resta un micromondo chiuso, il racconto non riesce a farsi pradigmatico, non riesce a far entrare dalla finestra lo scorcio di un paesaggio. La vicenda resta lì, individualista e chiusa, non è storia di un’epoca, di un paese, di una società: è storia in un tinello. È assaggio di una generazione che nella terz’ultima pagina viene definita tardivamente e in modo sommario come «la generazione della patacca, del remake. Tutto era stato già provato, si trattava solo di rivisitare, senza un vero nerbo. Cosa c’era di nuovo? Il sushi da asporto, la festa di Halloween, Facebook. Il sogno di tutta la gente che conoscevano era quello di organizzare eventi. Di anelare a una festa continua sulle macerie di tutto. L’egoismo come unica borsa a tracolla».
Penso, leggendo Nessuno si salva da solo, quello che spesso penso dei romanzi italiani di oggi. Affreschi estemporanei, ritratti sempre e solo in un interno. L’epica del privato, ma di un privato piccolo piccolo. L’interno individualista che siamo? L’Italia di monadi egoiste e sole a cui siamo ridotti? E penso con disagio (e con invidia) all’abilità di una Elizabeth Strout, di un David Foster Wallace, di un Andrew Sean Greer, di un Raymond Carver (per fare qualche esempio al volo) che in ogni vita, in ogni storia, anche la più minuta, comune e meschina, raccolta nella loro America di provincia, riescono a spalancare finestre da cui vedi un mondo.
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Scritto da: Loredana
Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo (Mondadori, 2011, € 19,00). Un realismo schietto e amaro. Spesso anche nel linguaggio. Uno spaccato del nostro tempo e non solo. I protagonisti sono trentenni di oggi insoddisfatti e delusi, talvolta deboli. Ma i veri sconfitti sono i loro genitori, pur comparendo nel romanzo solo superficialmente. Lucrezia ne è testimonianza, i genitori di Delia lo sono. Un mea culpa per i sessantenni che si sono occupati più dei loro ideali che dei propri figli, cresciuti, così, “analfabeti d’affetto”. «Si passeranno accanto bonariamente come carne ripulita dalla tragedia dell’amore» (pag. 179). Crudele considerazione.
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Scritto da: Sofia Andreotti
Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo (Mondadori, 2011, € 19,00). «Il pomeriggio Delia vomitava. Non ci pensano proprio a un altro figlio, già con due fanno fatica. Però. È sempre bello tremare per una cosa così. Lui le aveva passato una mano sulla pancia […] Avrebbero dovuto essere disperati, ma la fertilità regalava il vecchio brivido di fulgore. Fare il nido nella propria donna. Anche se dicono che il mondo non andrà da nessuna parte» (pag. 158). Questo libro è racchiuso nella dedica dell’autrice: “Alla rabbia dei puri”. La rabbia degli innocenti, quelli che sono rimasti in balia della vita e adesso si guardano e non si riconoscono, osservano sgomenti le macerie di ciò che è stato. Delia e Gaetano si sono amati, si sono scelti, hanno messo al mondo dei figli. Sono stati parte l’uno dell’altra e nella serata estiva in cui si svolge l’intero corso della storia si guardano dalla parte opposta del tavolo come gli estranei. «Come fa la vita a mangiarsi tutto?». Gaetano se lo chiede guardando negli occhi Delia e quante volte ce lo siamo chieste noi? Come fa la vita a travolgerci così, senza lasciarci margine di scelta? Noi, puri indifesi a cui resta solo la rabbia dell’impotenza. «Queste sono cose che capisci una vita dopo, quando sei stata anoressica e sei guarita, quando gliel’hai fatta pagare a casaccio (ai genitori che si sono separati) e sei quasi morta per vendicarti di quell’abbandono […] sono pensieri che non vuoi passare ai tuoi figli. Hai paura che loro ricorderanno solo la fine, le liti».
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Scritto da: Sabrina Spadaccini
Questa volta l’autrice cade nella retorica, nella banalità,nei luoghi comuni dell’amore e delle relazioni di coppia. Nel libro manca quel pathos, quel mordente che la caratterizza….Troppe parolacce, troppe “canne” e situazioni quasi borderline. La psicologia dei personaggi è sempre curata e attenta, la scrittura fluida e veloce, ma non ci sono sorprese, evoluzioni, dinamismi: tutto è già visto e previsto. Peccato, dopo il capolavoro Venuto al mondo ci si aspettava qualcosa di più….
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Tags: Andrew Sean Greer, David Foster Wallace, Margaret Mazzantini, Mondadori, Nessuno si salva da solo, Raymond Carver
Ho letto qualche libro della Mazzantini, apprezzando “Non ti muovere” che mi ha trascinato nell’errore di “Venuto al mondo”, avendo dimenticato il peccato di gioventù di “Manola”. Insomma, sono (ero) una sventata seriale. Credo di essere guarita dopo aver notato il ricorrente vizio dell’autrice di calare i suoi personaggi in storie dannate senza speranza alcuna, abissi senza luce, fosse anche quella di un neon, degrado che degrada e digrada. Quasi volesse mettere alla prova la resistenza del lettore. Temo che questo abbia a che fare con il suo approccio alla scrittura. Se è vero ciò che (eroicamente) afferma, l’esercizio della narrazione è per lei un’autentica tortura (pensasse un po’ ai suoi lettori) cui si sottopone per spirito di sacrificio e a caro prezzo.
Mi viene spontaneo confrontare queste affermazioni con quelle ascoltate a Mantova da Valeria Parrella, autrice di pagine dense e durissime, taglienti e dolorosissime nelle quali, però, non un solo aggettivo è sprecato per restare nel buio, quando uno ne basta per accendere la luce. Valeria, dicevo, che racconta sorridente la gioia quotidiana e il privilegio del suo mestiere.
O D.F.W., giustamente, altro esempio di, perdona il paradosso, vitalità.
L’accanirsi della Mazzantini sull’uso della sinestesia è, per me, solo un modo per rendermi partecipe della sua sofferenza (o della soffrenza che sta mettendo in scena). Non del senso della storia che sta raccontando.
Spero di non essere andata troppo OT…
Ho la Parrella sul comodino da tempo e ancora non l’ho letta, ma è lì che chiama, e questo tuo commento mi spinge a portarla in cima alla pila. La Mazzantini di Nessuno si salva da solo è stata per me la necessità di assaggiare una seconda volta. A questo punto, “sufficit”. Altra vitalità cerco fra le pagine, altri abissi anche, ma capaci di restituire dal buio una luce.
Hai letto Franzen? Lo comincio stasera…
Non ho letto che mezzo, forse un quarto di libro della Mazzantini, non so chi sia, come moglie come madre, in virtù della mia immobilità l’ho incontrata.
Mi è sembrata verbosa, noiosa ed alla fine inconsistente nella sua affezione per il dolore, ma come dici tu, un dolore piccolo piccolo, di chi non ha mai incontrato se stesso.
Franzen è in lista d’attesa, soprattutto per evitare la fastidiosa impressione di averlo già letto a furia di sentirne parlare, ma credo aspetterà tempi più tranquilli. E’ un periodo di letture forsennate per lavoro, non vorrei rovinarmelo.
Dal punto di vista psicologico, la Mazzantini ha il merito di cogliere un vissuto, certamente individuale e misero, ma altrettando vivo e reale. Rieccheggiano le storie narrate dai pazienti e, soprattutto, l’odore di queste storie che si sparge nella stanza e che si appiccica addosso. In quest’ultimo libro, l’odore è sconosciuto e rimane tale, insulso e stagnante. Mi ha stupita e forse anche un pò disturbata la grande pubblicità fatta per questa narrazione, il libro sarebbe dovuto rimanere nell’ombra dove queste storie si infilano, in un cantuccio, da sole.
Ho letto della Mazzantini Il catino di zinco storia di una nonna vecchia maniera e di come la vedeva la nipote, non ti muovere che è in assoluto il mio preferito, Venuto al mondo ed anche Nessuno si salva da solo.
Condivido che probabilmente questo ultimo romanzo della Mazzantini non è il suo migliore, la storia di Gae e Delia mi ha lasciato una enorme malinconia dentro. Si, una profonda malinconia per come l’amore che pure ha unito due persone, possa trasformarsi in qualcosa di diamettralmente opposto fino a trasfrormarle in due estranei rancorosi ed arrabbiati, pronti a vomitarsi addosso tutta la rabbia, pronti a rinfacciarsi tutti gli egoismi.
Ma queste sono storie di confine…..e la Mazzantini ha una grande abilità nel sondare l’animo umano, soprattutto i lati più oscuri e nascosti o che si desidera tenere nascosti, quegli angoli bui che magari fanno parte di noi ma che non siamo disposti ad accettare ed ammettere
Non credo che leggerò “Nessuno si salva da solo”, non mi incuriosisce, ho letto molti anni fa “Il catino di zinco” usa un linguaggio forte che a volte infastidisce la Mazzantini, ma me lo ricordo, ci sono immagini che mi sono rimaste negli occhi anche se non riesco a ricordare la trama, ha una capacità di portarti davanti alla scena… a spulciare ogni singolo particolare per portarlo alla tua attenzione ed i personaggi sono come sono e non come tu vuoi che siano. Non è una lettura scorrevole di certo, ma vale la pena “assaggiarla”. Sto leggendo Venuto al mondo, mancano pochi paragrafi alla fine, è come un pugno chiuso nello stomaco, ma è bello.
“Penso, leggendo Nessuno si salva da solo, quello che spesso penso dei romanzi italiani di oggi. Affreschi estemporanei, ritratti sempre e solo in un interno. L’epica del privato, ma di un privato piccolo piccolo. L’interno individualista che siamo? L’Italia di monadi egoiste e sole a cui siamo ridotti?”
Forse questo che descrivi è il merito maggiore di questo libro della Mazzantini, che non mi è piaciuto affatto (se pure ho amato sia Non ti muovere, sia Venuto al mondo). L’Italia, mai come ora, sta vivendo la sua epopea piccola piccola. E se c’è stato un periodo neppure tanto lontano in cui è stato un grande paese, ce lo siamo tutti dimenticati, seppelliti dalle idiozie della televisione commerciale e dal sogno di diventare tutti possessori di prodotti da televendita. Non ci sentiamo parte di una collettività matura, pronta, per esempio, a fronteggiare con responsabilità il periodo di crisi che stiamo vivendo e non siamo neppure civili abbastanza da convivere in un condominio. Siamo il paese del familismo e dell’orticello, dei suv e dell’evasione fiscale. Poi, a ben guardare dentro ognuno di noi, c’è anche dell’altro, per carità, ma non basta a salvarci. E Gaetano è un bel ritratto di tutto questo. Sembra tanto banale, solo perché, a ben pensarci, tutti noi conosciamo almeno un Gaetano.
Ho letto il libro della Mazzantini e sono rimasta molto delusa. Di lei avevo letto “Non ti muovere” ed ero rimasta folgorata. Quest’ultimo invece mi sembra carico di parolacce gratuite. E poi mi è sembrato decisamente troppo lungo. Io ho saltato alcune pagine che potevano benissimo restare nella sua penna.
Secondo me si tratta di un’occasione sprecata, dato che l’argomento era interessante e che ha individuato molte verità delle coppie contemporanee.
La presunzione di chi pensa di poter scrivere quando e come vuole, …tanto è ormai famosa…inutilmente volgare in ogni pagina
E’ un libro tremendamente realista, un’analisi approfondita sulle dinamiche di una vita di coppia sgretolata. Due ragazzi che si amano alla follia, la vita insieme, il primo figlio…poi l’amore che pian piano se ne va, i difetti che prendono forma e non sono più accettabili, i comportamenti intollerabili di uno e dell’altro. Delia e Gaetano cenano insieme in un ristorantino alla mano; la loro vita insieme è ormai solo un ricordo doloroso. Ci sono le vacanze dei bambini da organizzare, quanti giorni io, quanti giorni tu. E poi c’è il male, ci sono le cose da rinfacciarsi, c’è l’odio. Una lettura difficile; difficile nel senso che fa riflettere sull’amore e sulle costrizioni a cui lo pieghiamo, e invita a porsi delle domande. E non sempre la risposta si trova.
Che brava che sei, Francesca. Se non quella di vivere, mi fai tornare la voglia di leggere.
Sono d’accordo con Monica (Mantova), non ho mai letto un libro così volgare.
Sicuramente non leggerò più i suoi romanzi.
Scusate, dove vedete il volgare in questo libro?
Io l’ho trovato molto forte e riflessivo.
Sono d’accordo con Monica di Mantova, il linguaggio di “Nessuno si salva da solo” è troppo volgare e retorico e il racconto troppo statico. Tutto il libro rimanda ad una vita di coppia “scoppiata” senza colpi di scena con un finale scontato.
Ho letto questo libro un anno fa e non me lo ricordavo neanche più. Non mi ha lasciato niente. Ho trovato molto bello “Zorro” e l’ho anche visto rappresentato molto bene a teatro a Camogli nell’estate 2013. Venuto al mondo è bello in alcuni punti, la parte genovese è bellissima ma il finale è assurdo rovina il libro
Non lascia niente è il commento più azzeccato. Non ne ricordo nemmeno una riga, nemmeno l’impressione. Ho dovuto rileggere il post per recuperarne qualcosa… 😉