sì, il nuovo Piperno è migliore del primo
ma no, non è Philip Roth!
(Alessandro Piperno Persecuzione)
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Un quinquennio dopo il trionfale esordio letterario e l’incoronazione (eseguita di persona dal giornalista Antonio D’Orrico) a erede di Philip Roth e di Proust, Alessandro Piperno ha partorito il secondo romanzo, Persecuzione (Mondadori, 2010, € 20,00), e lo ha diviso in due parti che insieme compongono Il fuoco amico dei ricordi: dopo 416 pagine rilegate con nuova raffinatezza – l’interno della copertina cartonata è rosso, e rosso è il testo sul risvolto della sovracoperta – il libro si chiude con un “continua…”. Tra un anno esatto sapremo come. Nell’attesa, Persecuzione offre di che discutere. Il primo ad affrettarsi è stato un fan storico di Piperno, Gad Lerner, che quando il volume non aveva ancora finito di invadere le librerie (è uscito il 26 ottobre) già lo recensiva su Vanity Fair e sul suo blog con larghezza di affetti e qualche artificio retorico tipo: avrei voluto confermare la regola che l’esordiente di successo proprio non ce la fa a bissare l’opera prima, ma Piperno si è superato. Non so voi, io Con le peggiori intenzioni l’ho trovato irritante, supponente e finto-profondo, sensazione che si era “materializzata” ulteriormente dopo aver visto alcune foto dello scrittore: con il sigaro in mano nel salotto della casa ebrea avita, si era fatto ritrarre, serissimo, su una poltrona capitonné con aria da uomo di mondo di 32 anni. Cinque anni dopo quell’esordio, l’autore di Persecuzione non rinuncia ai suoi incipit a scoppio di petardo («Era il 13 luglio del 1986 quano un imbarazzante desiderio di non essere mai venuto al mondo s’impossessò di Leo Pontecorvo»), e continua a risultare irritante quando nel suo stile pretenzioso infila parolacce o gergo sessuale per darsi arie da scrittore che mescola alto e basso in modo disinvolto (spiacente, Rosa Matteucci è la sola italiana che sappia farlo davvero): Piperno non è affatto disinvolto. Però i cinque anni di invecchiamento lo hanno reso più amabile, come il brandy.
L’ambiente del nuovo romanzo è lo stesso del primo, la benestante borghesia romana ebrea. Leo Pontecorvo, celebre pediatra oncologo con moglie e due figli maschi, viene accusato di abusi sulla 12enne Camilla, fidanzatina del secondogenito, dopo che lei ha trascorso con loro le vacanze di Natale in Svizzera, e gli ha teso quella che sembra la trappola di un’adolescente. Ci viene raccontato che un giorno, dopo che Leo l’ha salvata da un brutto attacco d’asma, Camilla lascia nel cassetto della biancheria di lui un messaggio, poche righe in francese, lingua che la ragazzina usa per chiudersi in un mondo dove i genitori non possono raggiungerla, in cui dice soltanto quanto le faccia piacere essere in vacanza con la famiglia Pontecorvo. Leo trova quella prima lettera in stretta sequenza con il ritrovamento di un salvaslip macchiato di sangue lasciato in bagno da Camilla, dettaglio (fastidioso e molto maschile) che spinge Leo a dare una connotazione sessuale al bigliettino nel cassetto. Leo è consapevole di non dover “giocare” con quella ragazzina, eppure cede alla tentazione di risponderle, e le lascia un messaggio nello stesso posto. Il resto è solo accennato, Camilla che gli scrive qualcosa di farneticante a proposito del volerlo salvare dalla moglie, Camilla che gli invia l’ultimo messaggio, in cui chiede di riavere indietro le sue lettere; in cambio gli assicura che scomparirà. Leo è sollevato, gliele restituisce. E sbaglia. Quel che segue è il precipitare di un uomo nel tritacarne mediatico in cui, alle accuse già ricevute per evasione fiscale e maneggi vari legati alla sua professione medica, Leo vede aggiungersi il marchio d’infamia di pedofilo. L’arresto, il processo, l’ambiguità delle parole, le foto ingannevoli sui giornali («la verità è tutto ciò che le immagini non dicono»: bello il punto in cui Leo vede pubblicata una sua foto a cavallo, scattata quando aveva deciso «su consiglio di un collega nutrizionista, di prendere lezioni di equitazione» e aveva ceduto «alla vanità del principiante che crede di nascondere l’insipienza con la correttezza degli equipaggiamenti»)… La trama rievoca fin troppo precisamente la triste vicenda di Carlo Marcelletti, celebre pediatra e cardiochirurgo finito suicida l’anno scorso dopo essere stato accusato di truffa e di abusi sui piccoli pazienti. La rievoca fino al tragico epilogo. E, come nella cronaca, anche qui te lo chiedi: Leo è del tutto innocente? Solo a pagina 173 si possono cercare indizi, ma Leo stesso non sa dare una risposta adeguata al perché sia salito su quella giostra di lettere… aveva agito per noia… o forse la delusione che nella prima lettera di Camilla non ci fosse tutto quello che lui per qualche attimo era stato a cercarvi… per sfida… che sia stata quella piccola delusione a risvegliare l’istinto libertino? Delitto e castigo nell’era dei processi mediatici, ingenuo cedere alla tentazione e gogna mortale.
Il romanzo inanella passato e presente in una sequenza narrativa gradevole e convincente; meno convincente la descrizione degli stati d’animo di Leo, il tema della vergogna annunciato a ripetizione ma mai veramente svisceato; e per nulla convincenti sono le relazioni con i familiari. Leo si trasferisce a vivere nel seminterrato della villa all’Olgiata, dove «i momenti più gloriosi delle sue lunghe e metodiche giornate sono quelli in cui vede le gambe dei suoi figli e di sua moglie camminare sul vialetto verso la macchina»: è verosimile che lui e Rachel, la moglie, precipitino nel silenzio senza percorrere tutta la scala di sospetti, negazione, orrore, supplica, rabbia, compassione? È verosimile che i figli si attengano senza cedimenti a un tacito dictat materno che cancella il padre dalla vita di tutti? Forse Piperno crede che lo specifico della famiglia ebrea e dell’educazione ebraica, su cui insiste con compiaciuti dettagli, giustifichi questo sviluppo della storia così come è congegnata? A pagina 239 Piperno paragona Leo a Gregor Samsa, l’impiegato protagonista delle Metamorfosi di Kafka, che un giorno si sveglia trasformato in un insetto e si preoccupa di proteggere i suoi cari dall’orrore che lui stesso è diventato. Ma la citazione non basta, rimani con l’impressione di leggere qualcosa che diventa surreale senza averne l’intenzione.
E allora resta da dire del paragone con Philip Roth. Ha ragione D’Orrico: con Piperno, Philip Roth può venire in mente, ma solo perché Piperno gioca a fare Philip Roth, come gioca col sigaro sulla poltrona. E se “il racconto incede sinuoso, per frasi lunghe che ti avvolgono” come nota deliziato Gad Lerner, non è l’incedere di Roth: quello ti cattura come la bellezza geometrica di una spirale, che poi scopri essere una scala a chiocciola e se ti lasci risucchiare puoi scenderla fino a significati che penetrano nel cuore del senso, dell’esistenza, dell’uomo, giù, in fondo davvero. Con Piperno è un trompe l’oeil: sembra una scala a chiocciola, ma non c’è nessun piano di sotto che si possa esplorare.
_Alessandro Piperno intervistato da Antonio Gnoli su La Repubblica il 25 ottobre 2010
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Tags: Alessandro Piperno, Antonio D'Orrico, Carlo Marcelletti, ebrei, Gad Lerner, Mondadori, pedofilia, Persecuzione, Philip Roth
Grande commento Francesca. Visto che adoro Roth, mi eviterò Piperno!
«… la citazione non basta, rimani con l’impressione di leggere qualcosa che diventa surreale senza averne l’intenzione». Il limite di Piperno è tutto qui.
…profonda come quella scala a chiocciola la sua recensione Francesca
sono arrivata qui “per caso”… sto scrivendo un libro sulla violenza delle parole…
scrivo, cancello, riscrivo… è ancora in gestazione e ancora non so chi lo pubblicherà ma quando sarà glilo farò inviare…
se vorrà sarà interessante una sua recensione….
AL
Grazie, Antonella. Aspetto il suo libro, non demorda!
[…] sì, il nuovo Piperno è migliore del primo ma no, non è Philip Roth! (Alessandro Piperno Persecuz… (91) […]
Ho letto di seguito “Indignazione” e “Persecuzione” e, strano a dirsi, posso tranquillamente affermare che l’ultimo romanzo di Piperno è superiore al Roth dell’ultimo periodo. Certo, se il termine di paragone è “Pastorale americana” il discorso cambia… ma Piperno con “Persecuzione” dimostra di essere un grandissimo scrittore. Dovremmo essere orgogliosi di lui invece di tirare fuori capziosità e preconcetti!
Certo che D’Orrico non sa quale danno gli abbia procurato definendolo il “nuovo Proust”, di certo Piperno non merita tutto il malanimo che ammorba certi critici frustrati.
Lasciamo Proust dove sta, anzi leggiamolo e facciamolo leggere ai nostri figli -se ci riusciamo!- Ma piperno scrive meravigliosamente, d’accordo non tutto è credibile dal punto di vista psicologico,è ugualmente un gran piacere quella lingua ricca, strutturata ,quelle notazioni di costume, la capacità di ritrarre un uomo i cui difetti e virtù sono incredibilmente messi a fuoco. Cosa vogliamo, la perfezione? Non ci basta un gioiello vero nelle tenebre dei braccialetti di plastica e dei diamanti falsi di cui sono pieni i nostri negozietti e librerie?
“Lingua ricca, strutturata e notazioni di costume” sono senz’altro qualità di Piperno. Quanto a mettere a fuoco virtù e difetti di un uomo, dubito decisamente. Prendiamo Leo Pontecorvo: è una figurina a due dimensioni, non c’è nessun approfondimento dei sentimenti che prova per la ragazzina, non c’è descrizione del turbamento e dell’attrazione, non c’è scavo – e quanto, invece, sarebbe stato interessante e anche prezioso che uno scrittore maschio ci conducesse nei meandri della mente maschile di mezza età, quando viene lambita dal desiderio proibito per un’adolescente! Leo si chiude nel seminterrato di casa e vive il processo, e di nuovo mi chiedo: quali elementi dell’umana vergogna vengono sviscerati? Non c’è alcuna scala di emozioni, c’è giusto la vaga descrizione del tribunale mediatico che schiaccia un uomo senza riuscire ad accertarne le resposabilità. Prendiamo la moglie di Leo: cosa ci dice l’autore di lei, cosa sappiamo del suo carattere, dei suoi sentimenti per il marito, del tipo di relazione che ha con lui, formale, appassionata, stanca? Niente, assolutamente niente; è una donna che semplicemente chiude la porta in faccia al marito e continua la sua vita con i figli (i quali, nonostante l’età di intendere e di volere, non si pongono domande).
Infine, qual è succo della vicenda di Leo Pontecorvo, dato che le sue responsabilità non vengono in alcun modo sviscerate? Il succo è che una ragazzina un po’ disturbata è riuscita a sedurlo e a distruggergli la vita.
Non si chiede a un romanziere di essere responsabile delle azioni dei propri personaggi, ma se è un grande romanziere, dal suo mettere in scena storie come le nostre, personaggi come noi, o vicende aberranti e immorali, ci si aspetta di veder emergere spunti preziosi per comprendere la multiforme verità delle situazioni umane.
“Persecuzione” è scritto in un modo che mi ha affascinato. Tecnicamente lo trovo all’altezza di Proust e non ci trovo nulla di scandaloso nel dichiararlo. L’alternanza tra presente e passato, con il suadente passare dal passato al trapassato mi ha conquistato senza troppa fatica. Un grande romanzo, insomma, con un’unica pecca: che regge alla perfezione fino a tre quarti e poi – secondo me – smarrisce un po’ la bussola narrativa. Verso la fine del libro i protagonisti diventano troppi (i figli, la domestica, l’onanista in carcere). Non si comprendono le ragioni di alcune descrizioni (tipo il viaggio in Inghilterra) che forse avrebbero meglio figurato nella parte iniziale del romanzo. Vabbè, piccolezze che non tolgono valore a questo grande libro. A chi accusa Piperno di snobismo e di leziosità io direi che questo è il prezzo della stessa letteratura. Se in un libro cercate lo svago, beh, allora gli autori di riferimento sono altri (e sono sempre in tv e sui giornali).
Ho trovato il libro di Piperno fragile e improbabile nella psicologia dei personaggi, come del resto molti sottolineano e la storia così sviluppata è una occasione persa. E poi scrive come in genere faccio nella mia prima stesura, un blocco di pietra da levigare e pulire, un esercizio a togliere.. ah confrontarmi ad uno scrittore affermato non è proprio un complimento per lui! No Pastorale Americana è un capolavoro assoluto e chi lo paragona a quel Roth o a un qualsiasi Richler sbaglia. L’intarsio della società romana ebraica degli anni ’80 mi è sembrata semplicemente mal riuscita. Peccato.
La forza travolgente dell’incipit di “Persecuzione” riesce a non dissolversi nelle prime due parti del romanzo, che trovo nel complesso psicologicamente intrigante e ben concepito; trovo geniale la capacità dell’autore di montare e smontare con travolgente sapienza letteraria i piani temporali, riuscendo ad aprire una porta dentro l’altra nel tunnel della narrazione, che pare vorticosa, ma poi si rivela lineare e nitida, scandita da un’ironia che sa essere spietata e consolatoria al tempo stesso; ma, ahimé, soprattutto nella seconda parte dell’opera, ci sono frequenti digressioni che ho trovato insopportabili e fuori tono, soprattutto le lungaggini sui figli, sul loro viaggio a Londra col padre, e l’inserimento di altri particolari che, a tratti , sembrano riempitivi ( come la surreale telefonata di Luchino che, per quanto gustosa di per sé, è inserita in un punto che la fa apparire tediosa…proprio come risulta a Leo Pontecorvo)…ma poi viene da chiedersi se non sia una sorta di voluto sadismo dell’autore che vuole procrastinare l’epilogo prevedibile, ma assolutamente atteso dal lettore, che ha bisogno di vedere nero su bianco la catartica catastrofe finale del nostro amabile “scarafaggio”; trovo che il personaggio di Leo avrebbe contorni da eroe tragico greco, un novello Aiace votato all’autodistruzione dopo che si è macchiato di vergogna, ma questi contorni da eroe tragico che dall’alto della sua grandezza precipita inesorabilmente verso il pietoso annichilimento, sono appunto stemperati da una serie di osservazioni ed elucubrazioni, soprattutto nella parte finale, che non sembrano appartenere sempre allo stesso personaggio; di fatto le incoerenze del personaggio potrebbero essere attribuite, ovviamente, non all’accorto autore quanto al narratore…che non ho la più pallida idea di chi possa essere, come insospettabile è per me l’identità del mittente dei disegni…so che tutto potrebbe, dico potrebbe, essere rivelato nel sequel, che senza dubbio leggerò, almeno con lo stesso appettito con cui ho divorato “Persecuzione”…tuttavia, egregio professor Piperno, ho trovato terribile la scritta “Continua” a sugellare la drammatica uscita di scena di Leo Pontecorvo. Ma, senza ombra di dubbio, anche la paternità di questa trovata pacchiana è da attribuire sempre al narratore della vicenda!