Il bambino che disegnava parole
come continua la storia…
Scritto da: Francesca Magni
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E a un certo punto tutto cambia.
Non vivi più con un mattone nello stomaco dalle 8 all’una mentre lui è a scuola, non conosci più le pagine torturate del diario su cui segna i compiti, smetti di avere gli incubi la sera prima del colloquio con i prof.
Tutto quel dolore e quella rabbia e quella fatica stupidi e inutili si dissolvono in una certezza: se la scuola sa far sentire i ragazzi capaci, loro lo diventano.
E così, verso la fine del terzo anno di liceo, la domenica mattina lui è in camera con una compagna di classe e lo senti spiegarle le differenze tra il pensiero di Platone e quello di Aristotele; è diventato ‘tutor’ dei compagni, filofosia è tra le sue materie preferite. Un giorno di qualche mese fa ci ha annunciato che il giovedì sarebbe arrivato a casa tardi: “Vado da G. a fare filosofia”. G. è un professore di liceo in pensione, abita dall’altra parte della città, e Filippo torna dai pomeriggi con lui con lo sguardo di chi si sente sazio e appagato; il giovedì sera va a letto tardissimo, lo trovi ancora sveglio alle due di notte, “Devo studiare fisica per domani”, “Ma riesci a imparare, a quest’ora?”, gli ho chiesto: la risposta, il 9 che ha preso il giorno dopo.
“Ti piace la fisica?” gli chiedo.
“Molto. I concetti li capisco dubio. Ma faccio fatica con le unità di misura e le formule. Devo spaccarmici la testa per un sacco di tempo”.
C’è un modo di fare scuola che innesca nei ragazzi un congegno moltiplicatore di energie e fiducia, che permette loro di fare cose incredibili. Nottate sui progetti di architettura, che non sono semplici compiti di scuola ma progetti veri: un faro del Demanio da ristrutturare e a cui trovare una nuova destinazione d’uso, e il bando è aperto a veri architetti e scuole; un concorso del Miur per l’anno di Leonardo, progettare qualcosa di ispirato alle macchine d’acqua del genio da Vinci. E lì notti e giorni, e consulti con studenti di fisica per l’idrodinamica, e il panico per il tubo con dentro arrotolato il progetto da spedire al Miur in tempo – la prima volta all’ufficio Postale, in ritardo, la giuria è l’ultimo che apre e il progetto vince.
Settimana prossima, per premio, si imbarcherà sulla Amerigo Vespucci, mare, vela, le cose che ama di più, insieme alla filosofia, alla storia dell’arte (“Ma vi rendete conto che mi sono emozionato alla mostra di Antonello da Messina!”), all’architettura e anche alle materie per cui è meno incline, come la chimica, perché nella sua scuola concetti come la mole o le proteine si imparano rendendoli visivi attraverso disegni, plastici, progetti…
E a un certo punto tutto cambia. Non hai più un figlio che fa fatica a scuola, che studia tutto il giorno per portare a casa sufficienze stentate, che si nasconde sotto il divano perché si sente un cretino anche se in fondo sa di non esserlo, ma non sa come dimostrarlo. Non vivi più con un mattone nello stomaco, perché ora lo senti che usa un lettore vocale per superare la difficoltà della lettura e lo vedi studiare da solo e, la domenica mattina, spiegare Platone e Aristotele alla compagna di scuola.
Non stai più male per lui, nemmeno quando ti dice: “Io comunque a studiare faccio molta fatica”.
“Lo studio è faticoso quasi per tutti”, gli dici. “L’importante è trovare il proprio modo per imparare”.
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Ciao Francesca, come sono felice per voi!
E’ vedere finalmente quel fiore sbocciare, quel bocciolo per cui hai tanto combattuto al fine di proteggerlo, sostenerlo per non farlo soffrire troppo sotto le intemperie della vita scolastica e oltre.
E’ la cosa più bella vedere che dopo tanta sofferenza loro e nostra, finalmente trovano la chiave per farcela da soli, per rendersi indipendenti pur nella difficoltà oggettiva.
E concordo pienamente sull’idea che l’ambiente scolastico, se veramente inclusivo, non a parole ma a fatti, pone le basi per questa loro rinascita, piena, definitiva, espressione di una nuova auto-stima finalmente in mano loro, non al giudizio di adulti più o meno interessati e coinvolti nel loro percorso.
Mio figlio a settembre inizierà la 1a superiore e so che avremo una strada ancora lunga e ricca di passi a volte avanti a volte indietro, ma a tendere con questo obiettivo: la piena autonomia, magari consapevole di aver bisogno di aiuto ogni tanto, ma nell’idea che abbia tutte le capacità e i talenti necessari per superare le difficoltà.
Come sarà bello vederlo andare per la sua strada e seguire i suoi interessi, le sue amicizie, le sue ambizioni senza troppa paura e con la creatività del loro pensiero divergente!!! Come un ferito che lascia la sua stampella a cui era legato da tempo, che felicità vederlo allontanarsi senza timore di cadere, stabile e fiero di quello che ha costruito “con sangue e sudore” come dice lui.
Anni e anni di lotta, di errori, di impegno, di lavoro e frustrazione condivisi che finalmente portano a vita nuova! Complimenti e un augurio sincero per chi è ancora nel percorso di salita, prima o poi la discesa arriverà.
Alessandra
Sto leggendo il libro dopo averlo scelto distrattamente tra gli scaffali della biblioteca cittadina. Sono mamma di un ragazzo dislessico, oggi 15 enne, e tra le pagine ritrovo me, lui, mio marito e gli altri figli, le stesse fatiche e disperazioni, le liti e gli abbracci.
Solo una differenza, con mio figlio è stata dura da subito, dalla prima elementare. Non riesco a immaginare come possa un bambino dislessico arrivare in prima media con tutti 10 , andare avanti senza aiuti , come avete fatto con le tabelline in terza elementare? Mio figlio non ce la faceva, e non ce l’ha fatta neanche con il corsivo…. comunque lui e Teo sono molto simili , ma allo stesso tempo unici e straordinari e la lettura mette gioia e speranza. Grazie.
Ma che bello! Purtroppo non mi sono ancora liberata del tutto di queste angosce e preoccupazioni, anche se sono migliorate molto. Fino alla prima superiore di Nicola non sapevo niente! Non sapevo che mio figlio fosse dislessico e che lo fossero anche il fratello più piccolo e io! Sono passati tre anni è Nicola va in quarta superiore al liceo scientifico e il piccolo è in terza media. Devo dire che con la certificazione e un bel percorso con una psicologa siamo usciti dal peggio. Mi ricordo i colloqui in cui mi dicevano che mio figlio fosse “lento”, asociale e bugiardo. Un incubo! È uscito dalla terza media con il 7 come voto finale. L’abbiamo iscritto lo stesso al liceo perché sapevamo che Nicola non era quel voto – era altro. Per fortuna una professoressa illuminata si è accorta subito del suo problema e da lì è iniziata la ripresa. Una ripresa buona ma lontana da quello che descrive Lei. I miei figli frequentano la scuola pubblica per una nostra convinzione profonda e ragionata ma comincio a volermi guardare intorno. Vorrei tanto sapere che scuola ha trovato per i suoi figli; anche noi viviamo a Milano. Forse non vuole dirlo qua sul blog ma può inviarmi un messaggio alla mia mail? Lei sarei molto grata.
Avrei così tante cose da dire. Mi sembra non ci sia abbastanza informazione sui DSA, anzi! Leggo tanta disinformazione e a volte ho l’imoressione Che gli insegnanti non ci credono neanche tanto. Sono stanca di giustificare i miei figli e voglio lasciarli sbocciare da soli.
Grazie per questi articoli,
Barbara